Roma:Giovanni Malagò, il Coni e l’onore negato un addio forzato che lascia l’amaro in bocca
Hanno provato a salvarlo in tanti. Atleti, sponsor, presidenti di federazione (fatta eccezione per gli immancabili dissidenti come Paolo Barelli e Angelo Binaghi), perfino il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lasciato trasparire un segnale di stima e fiducia. Ma non è bastato. Giovanni Malagò, dopo anni alla guida del CONI, ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte a un muro di gomma fatto di cavilli, norme e volontà politiche mancanti. Un epilogo che sa di resa non tanto personale, quanto istituzionale, perché quando chi può cambiare le regole sceglie deliberatamente di non farlo, l’esito non è solo inevitabile, ma anche profondamente amaro.
Nel Consiglio Nazionale, gremito e visibilmente partecipe, Malagò ha raccolto applausi e attestati di stima, ma anche lasciato andare parole pesanti, di quelle che segnano un solco: “Mi inchino alle leggi, ma deve valere sempre”. Il riferimento era chiaro, quasi didascalico: la legge sul numero massimo dei mandati ha colpito solo lui, nonostante la recente modifica che ha concesso ai presidenti di federazione la possibilità di un quarto mandato – seppure vincolato a una soglia qualificata di voti. A lui, invece, niente. Nessun compromesso, nessun correttivo. Solo silenzio e inerzia.
Eppure i numeri parlano chiaro. I risultati sportivi dell’Italia sotto la sua presidenza sono stati eccezionali, con Olimpiadi da record, medagliere in crescita, conti in ordine, relazioni internazionali floride. Il prestigio del CONI, oggi, è forse al suo massimo storico. Malagò ha guidato il comitato con carisma e visione, navigando tra mille tempeste – politiche, economiche, persino sanitarie – senza mai perdere la rotta. Ma la legge non prevede deroghe. E chi avrebbe potuto scriverle, o anche solo discuterle, ha preferito voltarsi dall’altra parte.
L’aspetto più paradossale della vicenda è proprio questo: non la sconfitta di un uomo, ma la miopia di un sistema che premia la fedeltà alle norme solo quando conviene. L’onore delle armi, quello che anche in politica si concede ai grandi avversari, a Malagò è stato negato. Non per demeriti, ma per indifferenza.
Forse è vero, come dice lui stesso, che tutto questo è “oggettivamente ingiusto”. Perché le leggi si rispettano, certo, ma quando si rivelano inadeguate o disallineate alla realtà, andrebbero corrette. E farlo non significa piegarle a uso personale, ma riconoscere che la storia – anche quella sportiva – non sempre segue la logica dei numeri scritti nei codici.
Ora si apre una nuova fase per il CONI. Malagò lascia un’eredità pesante, un modello difficile da replicare. Ma soprattutto lascia una lezione: il valore di un dirigente non si misura con un comma, ma con il segno che lascia dietro di sé. E Giovanni Malagò, nel bene e nel male, quel segno l’ha lasciato eccome.