Scandalo tangenti: Tre dirigenti arrestati per appalti gonfiati e mazzette “difficili da spendere anche utilizzarli! Io ce la metto tutta, ma… quest’anno è stato tosto”!

Un sistema di corruzione che ha fruttato decine di migliaia di euro in tangenti è venuto alla luce con l’arresto di tre dirigenti pubblici, Nicola Sansolini, Iacobellis e Sciannimanico, coinvolti in un meccanismo di appalti truccati. I tre funzionari, intercettati dalla Guardia di Finanza, avrebbero organizzato un circuito di scambio di denaro illecito con imprenditori amici, al punto da non sapere nemmeno come spendere tutto il denaro accumulato. Secondo le autorità, in alcuni casi le mazzette pagate dagli imprenditori superavano i 30.000 euro, gonfiando le cifre degli appalti e gravando sui costi pubblici.

Le intercettazioni: “Non sappiamo più come spenderli!”

Le intercettazioni svelano la disinvoltura con cui i tre dirigenti parlavano delle mazzette. In una conversazione intercettata, uno di loro commenta ironicamente: «Aumentiamo! Invece di diminuire aumentiamo! Il problema è che ormai è diventato difficile anche utilizzarli! Io ce la metto tutta, ma… quest’anno è stato tosto!». A testimoniare il livello di arroganza e impunità percepita, uno degli arrestati arriva persino a lamentarsi della difficoltà di spendere tutto quel denaro, affermando: «Se mi girano i c… comincio a spendere tutto, eh! Domani mi compro l’orecchino e cominciamo con l’orecchino».

Rapporti di fiducia e la “cassaforte” per nascondere i soldi

L’inchiesta coordinata dal procuratore Rossi ha evidenziato un sistema di legami di fiducia tra i dirigenti pubblici e gli imprenditori, che fungevano da “cassaforte” per conservare il denaro illecito in modo da prevenire eventuali sequestri. “Quell’operazione bisogna farla … portare via tutto,” si sente in un’intercettazione, mentre in un’altra si discute della possibilità di utilizzare una “cassaforte a Bari” per proteggere i fondi da un eventuale controllo delle forze dell’ordine.

Gli indagati discutevano apertamente delle strategie per eludere i sequestri, con un piano per giustificare la presenza di ingenti somme di denaro contante nelle loro abitazioni. Uno degli arrestati spiega come si potrebbero giustificare i soldi trovati: “Io quei 20mila euro li ho avuti da mio padre che mi ha dato l’eredità… oppure: ‘Io percepisco il fitto a nero, quelli sono tutti i fitti che io ho tenuto da parte’. Tu lo puoi dimostrare che è una tangente? No.”

Secondo questa logica, come rileva la Procura, i dirigenti contavano sul fatto che, in mancanza di prove schiaccianti, sarebbe stato difficile dimostrare che il denaro contante fosse frutto di corruzione. Tuttavia, la Guardia di Finanza, grazie a microspie e telecamere piazzate negli uffici, è riuscita a raccogliere prove sufficienti per incastrarli.

Costi gonfiati e discrezionalità negli appalti

Uno degli aspetti più gravi emersi dalle indagini riguarda l’aumento ingiustificato dei costi durante l’esecuzione delle commesse pubbliche, una strategia utilizzata per coprire il costo delle tangenti e soddisfare le richieste degli imprenditori coinvolti. In una conversazione intercettata, uno dei dirigenti osserva: «Io ho stimato che di quei lavori forse 5 mila euro stanno… Come giustifichiamo gli altri 120 mila euro?».

L’indagine mostra come la discrezionalità lasciata agli imprenditori nella redazione dei computi metrici – cioè le stime dettagliate delle quantità e dei prezzi dei lavori – abbia portato a un sistematico aumento dei costi, che venivano “gonfiati” fino al doppio o triplo del valore effettivo. “I prezzi gonfiati, quando glieli feci vedere, erano al doppio, al triplo!” spiegava uno degli arrestati, evidenziando un meccanismo con cui il denaro pubblico veniva costantemente drenato per finanziare la rete di corruzione.

Le misure precauzionali per evitare i controlli

Consapevoli della possibilità di essere sorvegliati, i dirigenti arrestati avevano messo in atto una serie di precauzioni per limitare i rischi. Quando incontravano gli imprenditori presso i propri uffici, erano soliti imporre loro di lasciare i cellulari fuori dalla stanza, temendo che eventuali registrazioni potessero compromettere il sistema di mazzette e appalti truccati. Tuttavia, tali accorgimenti non sono stati sufficienti a eludere le investigazioni della Guardia di Finanza, che è riuscita a piazzare microfoni e telecamere nelle sedi degli incontri.

L’arresto dei tre dirigenti pubblici segna un capitolo importante nella lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione. L’inchiesta ha messo in luce un sistema ben radicato di favoritismi e tangenti, in cui gli imprenditori “amici” ottenevano appalti a condizioni vantaggiose e, in cambio, versavano denaro illecito ai funzionari. I costi gonfiati delle commesse e le spese insostenibili imposte ai bilanci pubblici rappresentano un danno per la collettività, evidenziando l’importanza di un’azione costante contro la corruzione. Il sistema messo in piedi dai tre funzionari mostra, infine, la complessità di un fenomeno che mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella gestione del denaro pubblico.

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