Astensionismo politico: Ha fatto prevalere il cinismo e la disfatta della democrazia
Non perdiamo tempo a conversare per trovare la soluzione del problema,L’ASTENSIONISMO. I partiti, i leader, le istituzioni nessuno escluso. Il problema dell’astensionismo, che ha raggiunto livelli allarmanti, non li tocca realmente. La retorica di circostanza, gli appelli alla partecipazione, le analisi post-voto sono vuoti rituali, tanto prevedibili quanto ipocriti. Alla fine, ciò che conta per “lor signori” è il pallottoliere: una manciata di voti in più o in meno, i simboli strappati ai rivali e una narrativa di vittoria da cucire addosso a risultati ormai sempre più vuoti di significato.
La piaga dell’astensione: un sintomo di sfiducia
Presidenti e sindaci di minoranza
Eppure, nonostante il crollo dell’affluenza, i vincitori si atteggiano a leader epocali. Eletti spesso con meno di un quarto del totale degli aventi diritto, questi rappresentanti sbandierano le loro vittorie senza rendersi conto – o fingendo di non capire – che il consenso reale è ormai una misera frazione. Sono sostenuti solo da uno “zoccolo duro” di fedelissimi e da pochi cittadini che ancora si interessano, sebbene con crescente disillusione. Questo squilibrio mina le basi della democrazia rappresentativa: come può un leader sentirsi legittimato quando la maggioranza silenziosa gli volta le spalle?
La colpa di una politica senza visione
Il declino della partecipazione non è un caso, ma il risultato di una politica miope, incapace di proporre un progetto credibile, inclusivo e, soprattutto, ispirante. Per anni si è preferito puntare su slogan facili, solleticando paure, instillando cinismo e distruggendo ciò che rende solida una comunità: il merito, la competenza, la passione. Questo approccio ha generato una spirale discendente, dove l’interesse pubblico viene sopraffatto dall’autoreferenzialità e dal conflitto sterile.
Il cinismo: il grande nemico della speranza
In questo quadro desolante, la parola che emerge con prepotenza è “cinismo”. Non c’è più spazio per la speranza, quel sentimento collettivo che spinge le persone a credere in un futuro migliore e a lavorare insieme per costruirlo. Al suo posto, si è imposto un atteggiamento distruttivo e sterile, che disprezza ogni tentativo di cambiamento come ingenuo o inutile. La politica, che dovrebbe essere il motore del progresso, si è ridotta a un gioco di potere senza scopo, incapace di offrire una visione in cui i cittadini possano riconoscersi e credere.
Una strada possibile: riscoprire il senso della politica
Eppure, non tutto è perduto. Milioni di italiani vorrebbero tornare a votare, se solo ci fosse un’alternativa credibile, una proposta politica capace di parlare al cuore e alla mente. Ma per invertire questa tendenza serve un cambiamento radicale. Occorre ripartire dalle basi: ascoltare i cittadini, costruire progetti concreti e inclusivi, promuovere il merito e valorizzare la passione civile.
Soprattutto, bisogna riabilitare la speranza. Non come vuota promessa, ma come forza concreta che ispiri fiducia e impegno. Perché senza speranza, la democrazia non può sopravvivere. E senza democrazia, non ci resta che il cinismo, il più pericoloso dei veleni per una società.
Non bastano le analisi né le promesse: servono azioni. L’astensionismo non è solo un problema numerico, ma il sintomo di una malattia profonda che affligge il nostro sistema politico. La politica, se vuole risorgere, deve tornare a essere una cosa seria, non un teatro di slogan e personalismi. Solo così si potrà ricostruire quel legame tra cittadini e istituzioni che oggi appare irrimediabilmente spezzato. E magari, un giorno, potremo di nuovo credere che democrazia sia davvero sinonimo di partecipazione.