Talpe, connivenze e sicurezza a rischio: l’Italia sotto assedio tra verità svelate e istituzioni esposte
Il collaboratore di giustizia Pasquino svela una rete oscura: professionisti, magistrati, ex agenti e legami con la ‘ndrangheta. Il confine tra sapere e potere si fa sempre più sottile.
In un tempo in cui tutti sanno tutto e lo mettono in vendita al miglior offerente, la sicurezza collettiva si sgretola sotto il peso di una nuova forma di mercato: quello delle informazioni riservate. Un mercato dove non esistono più limiti, né scrupoli. La recente testimonianza del neo collaboratore di giustizia Vincenzo Pasquino, narcos legato alle potenti famiglie calabresi di Platì e San Luca, sta facendo tremare i palazzi della giustizia e delle istituzioni.

Secondo quanto emerso dai verbali depositati nelle ultime indagini condotte dalle Direzioni Distrettuali Antimafia, esisterebbe una fitta rete di presunte “talpe” della ‘ndrangheta: avvocati piemontesi e calabresi, magistrati, ex ufficiali delle forze dell’ordine e addirittura figure interne ai servizi segreti. Una rete di connivenze che fa della criminalità organizzata un sistema sempre più mimetizzato, fluido e pericoloso.
Il sapere come moneta di scambio
L’aspetto più inquietante della vicenda non è solo la portata delle connessioni, ma la leggerezza con cui informazioni classificate, strategie investigative, intercettazioni e nomi finiscono sul tavolo delle cosche in cambio di denaro o favori. Il sapere è diventato merce, e come ogni merce si vende a chi paga meglio. Ma questa volta il prezzo lo pagano i cittadini comuni, le vittime di un sistema che vacilla, le istituzioni che vengono corrose dall’interno.
Cosa sta succedendo?
Non si tratta più di singoli episodi di corruzione. Quello che emerge è un sistema parallelo, un mondo opaco dove la lealtà allo Stato è messa in discussione da relazioni ambigue e pericolose. Pasquino, che collabora da un anno con le procure di mezza Italia, ha disegnato uno scenario che richiama più una serie tv distopica che la realtà. E invece è tutto vero.
Cosa fare? E soprattutto: cosa dovranno fare le istituzioni?
Il problema è ormai strutturale. Non bastano più inchieste e arresti a posteriori. Serve un cambio di paradigma: una riforma profonda del sistema di controllo interno, dell’accesso alle informazioni sensibili, della trasparenza nei rapporti tra professionisti e apparati dello Stato. Serve anche una maggiore protezione per chi denuncia, per chi resiste, per chi ancora crede nel valore della legalità.
E serve soprattutto ricostruire la fiducia dei cittadini, minata ogni giorno da notizie che raccontano di una giustizia manipolata, di forze dell’ordine infedeli, di servizi deviati. Quando il sapere diventa arma, la verità rischia di essere la prima vittima.
Il caso Pasquino, lungi dall’essere un episodio isolato, è un campanello d’allarme che dovrebbe risuonare forte in ogni aula di tribunale, in ogni consiglio comunale, in ogni redazione e in ogni caserma. Perché la legalità non si difende solo con le leggi, ma con l’esempio, la vigilanza e il coraggio quotidiano di scegliere da che parte stare.