Foggia: Il Procuratore Laronga avverte: “Le campagne elettorali sono la più grande discarica di interessi privati e malaffare”. Un messaggio che pesa come un atto d’accusa
Antonio Laronga, il magistrato simbolo della lotta alla “quarta mafia”, torna a far parlare di sé con dichiarazioni forti e precise che suonano come un monito, se non una vera e propria denuncia: Alla domanda del giornalista Davide Grittani: “A ottobre si dovrebbe votare, ma le campagne elettorali sono la più grande discarica di interessi privati e malaffare” risponde: “Tornando all’antropologia da lei evocata , dalle facce di alcuni comitati elettorali si possono intuire molte cose”.
Parole dure, arrivate dopo il suo annuncio di lasciare la Procura di Foggia, ma che non chiudono la sua battaglia civile. Anzi, sembrano rilanciarla.
Perché adesso?
La tempistica del messaggio non è casuale. Laronga parla oggi, mentre la città si avvia verso nuove elezioni regionali e si prepara, ancora una volta, ad ascoltare promesse, programmi, sorrisi di candidati già visti, spesso già inquisiti, a volte anche condannati — eppure nuovamente candidati, spesso rieletti. È questo meccanismo che il magistrato smaschera con parole che nessun politico ha il coraggio di pronunciare: “discarica di interessi”.
Laronga non fa nomi, ma chi vive Foggia sa bene a chi e a cosa si riferisce. Da anni osserva — e indaga — le dinamiche che intrecciano politica, affari, voto di scambio, contiguità con ambienti criminali. Nessuno come lui conosce “vita, morte e miracoli” di tanti personaggi pubblici che, pur travolti da scandali, tornano regolarmente sulla scena.
La denuncia di un sistema malato
Non è solo una critica generica alla politica. È la diagnosi di un sistema che si rigenera nella sua stessa corruzione. Le elezioni, secondo Laronga, non rappresentano più un momento di rinnovamento democratico, ma un’occasione ciclica in cui si riaffacciano, con vestiti nuovi ma vecchi metodi, i soliti noti. E spesso non da soli: con loro, le consorterie, le clientele, le mani invisibili del malaffare che sanno come orientare voti e promesse.
Il paradosso del “rinnovamento impossibile”
“Come si potrà mai cambiare se le persone sono sempre le stesse?”, si chiede Laronga. Una domanda che è anche una provocazione alla cittadinanza: chi sceglie davvero chi governa? E sulla base di cosa? La risposta, amara, è sotto gli occhi di tutti: troppo spesso il consenso viene orientato da reti clientelari, da promesse interessate, o da un silenzio complice che ormai avvolge la vita pubblica.
Una voce solitaria, ma lucida
Non è la prima volta che Laronga lancia segnali chiari. Già da tempo aveva parlato di un “tracollo etico” della città, di una legalità svuotata nei fatti. Le sue parole di oggi, allora, non sorprendono. Piuttosto, confermano che il magistrato non si è ritirato in silenzio, ma continua a vigilare, con lo stesso sguardo severo e netto di sempre.
E ora?
La città, ora più che mai, è davanti a un bivio. Ignorare le parole di Laronga significherebbe legittimare il sistema che lui ha cercato di combattere per decenni. Ascoltarle, invece, vuol dire assumersi la responsabilità di pretendere un vero cambiamento, a partire dalla cultura del voto, della trasparenza, della partecipazione. Ma per farlo serve una presa di coscienza collettiva, non solo nuovi nomi sui manifesti.
Il tempo delle campagne elettorali è vicino. Le domande poste da Laronga resteranno lì, scomode, ingombranti. Come un promemoria per chi vota. Ma soprattutto per chi si candida.