Foggia:Antonio Laronga lascia la Procura “Questa città ha perso ogni senso morale”
Dopo 29 anni di servizio alla Procura di Foggia, Antonio Laronga, magistrato simbolo della lotta alla “quarta mafia”, ha deciso di lasciare. Un congedo carico di amarezza, accompagnato da parole che scuotono le coscienze e fanno riflettere su un’intera comunità: “Foggia ha perso ogni senso morale”. Una dichiarazione che pesa come un atto d’accusa, non solo contro la criminalità, ma contro un sistema che pare ormai corroso nella sua struttura più profonda.
Un addio che scuote
Laronga è stato il volto e la mente di alcune delle indagini più importanti condotte nel Foggiano, non solo contro la mafia, ma anche nella pubblica amministrazione. La sua decisione arriva in un momento delicato, proprio quando anche il procuratore Ludovico Vaccaro sta per lasciare. Una coincidenza che ha sollevato domande e preoccupazioni tra i cittadini, i quali si interrogano sul futuro dei tanti procedimenti ancora in corso. È vero che restano i sostituti procuratori, ma la sensazione è che con Laronga vada via non solo un magistrato, ma un baluardo, una figura di riferimento incrollabile.
“Ho fatto la mia parte”
“Lavoro qui da 29 anni, ho fatto la mia parte”, dice Laronga. La sua vita è stata quella di un magistrato in trincea, tra scorte, minacce e isolamento. Nessun teatro, nessun cinema, nessuna vita sociale. Una dedizione assoluta alla causa della giustizia. “Chi lavora in un contesto come questo – afferma – deve vivere la propria antimafia ogni giorno, anche nei gesti più piccoli”.
“Foggia ha subito un tracollo etico spaventoso”
Il suo messaggio è arrivato dritto alla città, attraverso i giornali cartacei e online. Ma le sue parole hanno anche lasciato spazio a molti interrogativi.
Perché proprio ora? Cosa ha determinato questa scelta? È solo stanchezza, o anche disillusione?
Laronga non fa nomi, non accusa direttamente, ma lascia intendere molto. Parla di una città “compromessa”, dove i legami tra criminalità e società civile si fanno sempre più sottili, ma anche più diffusi e pervasivi.
Un gesto che vale più di mille parole
Racconta di un episodio: un indagato gli tende la mano al termine di un interrogatorio. Lui la rifiuta. Un gesto simbolico, ma fortemente eloquente. “Un uomo dello Stato deve segnare il confine. Non stringere quella mano significava dire: io non sono come te”. È in questi dettagli che si legge l’intransigenza morale di Laronga, spesso percepita come freddezza, ma in realtà frutto di una scelta netta: quella di non cedere mai all’ambiguità.
Il futuro altrove
Per Laronga si parla di un possibile trasferimento a Brindisi o Terni. A Foggia potrebbero arrivare magistrati come Renato Nitti o Enrico Infante, nomi importanti, ma è chiaro che l’eredità lasciata sarà difficile da raccogliere. Non solo per il lavoro svolto, ma per ciò che Laronga ha rappresentato: una figura di rigore, indipendenza e coerenza.
Una mafia che cambia volto
Durante la sua carriera, Laronga ha studiato e raccontato l’evoluzione della mafia foggiana: meno sparatorie, più affari. “Oggi si muovono sul mercato, offrono servizi, si infiltrano nell’economia come valore aggiunto. È una criminalità più sofisticata, più pericolosa, perché meno visibile”. Una metamorfosi che impone nuove strategie e maggiore consapevolezza.
“Io sono un foggiano, e ci credevo”
Le sue ultime parole sono quelle di un uomo deluso, ma non arreso. “Sono un foggiano, e ci credevo”, dice. Un amore per la sua terra che lo ha spinto a combattere fino all’ultimo giorno. Ma è proprio questo legame che rende il suo congedo ancora più doloroso.
E alla fine resta una domanda sospesa nell’aria: quando chi ha incarnato il volto della legalità decide di andare via, chi resta davvero a difendere i confini dell’etica pubblica? La risposta, ora, tocca a Foggia.