Le mafie di oggi: criminalità organizzata senza più “onorabilità”

La parola mafia è ormai un termine generico, un nome comune che racchiude molte realtà diverse e, spesso, viene usato in modo improprio. Se un tempo si identificava con Cosa Nostra, oggi la criminalità organizzata si è frammentata e globalizzata, con gruppi che operano su scala internazionale, dalla ‘Ndrangheta calabrese alla Camorra campana, fino alle organizzazioni criminali albanesi, nigeriane, cinesi e russe.

Falcone: “Siamo solo settimi”

Già nel 1992, Giovanni Falcone, in un’intervista televisiva, ridimensionava la potenza della mafia siciliana rispetto ad altre organizzazioni criminali mondiali: “Mi dispiace signorina, ma purtroppo siamo solamente settimi”. Il magistrato sottolineava che l’unicità di Cosa Nostra era più narrativa che reale, alimentata dalla letteratura e dal cinema, da Tomasi di Lampedusa a Mario Puzo, fino alla serie televisiva La Piovra.

Oggi, quel settimo posto sarebbe ancora più basso. Lo confermano le intercettazioni recenti dell’Antimafia, in cui un boss di Brancaccio ammetteva: “Siamo a terra, il business lo fanno altri… siamo gli zingari”. Un’ammissione che, oltre al disprezzo razzista, evidenzia la marginalizzazione di Cosa Nostra di fronte alle nuove dinamiche criminali.

L’evoluzione della mafia: da potere territoriale a puro business

La mafia corleonese è stata sconfitta negli anni Novanta. Senza più una gerarchia militare, senza stragi, senza omicidi seriali, ha perso la sua capacità di imporsi come alternativa allo Stato. La vecchia Cosa Nostra era, secondo Falcone, “un’esasperazione di valori siciliani”, che aveva abbandonato la lupara per mimetizzarsi nella società civile, facendo fluire i soldi nelle mani dei figli dei boss piuttosto che nelle mani dei nuovi picciotti.

Il declino è certificato anche dalla Direzione Nazionale Antimafia, che già nel 2013 parlava di Matteo Messina Denaro solo in “termini simbolici”, più capo di una provincia che di un impero criminale. Lo stesso Totò Riina, intercettato in carcere, ne parlava male: “Si fa i fatti suoi”. Un giudizio confermato nel 2016 dall’ex capo della Polizia, Alessandro Pansa, secondo cui Messina Denaro non comandava più Cosa Nostra, ma gestiva solo i propri affari personali.

L’Antimafia e il vuoto lasciato da Cosa Nostra

Dopo la stagione delle stragi, lo Stato ha vinto la guerra contro la mafia corleonese. La Permanenza in Sicilia del procuratore Giancarlo Caselli portò all’arresto dei boss latitanti e alla condanna di circa 1.500 collaboratori di giustizia. Tuttavia, quando si tentò di colpire il cosiddetto “terzo livello” – il presunto intreccio tra mafia e politica – i processi fallirono: Andreotti, Carnevale, i Ros dei Carabinieri, il ministro Mannino, fino a Berlusconi.

Oggi, mentre la criminalità organizzata è mutata, l’Antimafia istituzionale sembra restare ancorata a vecchie narrazioni, gestendo potere e poltrone piuttosto che affrontare le nuove forme di criminalità. Falcone aveva ragione: la mafia non è invincibile, è un fenomeno umano e, come tale, ha avuto un inizio e una fine. Quella mafia, quella di Riina e Provenzano, è morta da tempo. Oggi resta una criminalità diversa, meno eclatante ma più diffusa, che non ha bisogno di stragi per fare affari.

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