Il Boss Francesco Schiavone detto Sandokan, capo dei Casalesi si è pentito
mmediatamente trasferito nel carcere dell’Aquila. Le sue condizioni di salute non sarebbero buone.
Ennesimo pentimento, il boss dei Casalesi Francesco Schiavone soprannominato Sandokan,avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia alcune mesi fa. Secondo indiscrezioni anche Schiavone sarebbe in condizioni precarie di salute.
É in carcere dal 1998, quando fu trovato in un bunker nascosto dentro una casa a Casal di Principe, con moglie e figli. Deve scontare alcuni ergastoli. Settantenne, iniziò ancora minorenne come autista del boss Umberto Ammaturo e poi di Antonio Bardellino. Proprio contro quest’ultimo però si mise anni dopo, insieme ad altri capi clan casalesi, assumendo poi il comando del gruppo criminale dopo la scomparsa di Bardellino.
Secondo quanto si apprende, ai familiari di Schiavone è stato offerto di entrare nel programma di protezione riservato ai familiari dei collaboratori di giustizia, come avvenuto già nel 2018, quando a pentirsi fu il figlio Nicola Schiavone. Ergastolano, detenuto da anni al 41 bis, Francesco Schiavone è in carcere ininterrottamente da 26 anni.
A confermare l’avvio della collaborazione con la giustizia del boss “Sandokan” Francesco Schiavone sono anche la Direzione Nazionale Antimafia e la Direzione distrettuale Antimafia della Procura di Napoli, che da alcune settimane hanno avviato i primi colloqui con l’ormai ex boss del clan dei Casalesi, oggi 70enne, detenuto al regime del carcere duro dal 1998.
Era uno degli ultimi irriducibili della camorra casalese,custode di importanti segreti.
Adesso per la capitanata si potrà capire il traffico illecito di rifiuti di cui i Casalesi sono stati protagonisti per anni. Un fenomeno che oggi resta tra i più avvolti nel mistero, con legami con un pezzo di mondo politico e dell’imprenditoria italiana. Schiavone farà aprire un strada che farà luce sia sulle persone, sia sui fatti ma soprattutto farà capire quali autorità territoriali erano a conoscenza o coinvolti.
Il suo pentimento, sottolinea Di Palma, “non è il primo nella famiglia Schiavone ed è in continuità con una storia che conferma che il percorso che la magistratura fa è buono perché produce risultati. Quando un reggente di un clan cade e si pente, questo dà la possibilità di aprire un varco sui legami territoriali e sugli affari del clan e non fa altro che indebolire i resti della storia criminale che permane sul territorio”.
Di Palma sottolinea poi il ruolo “dell’antimafia sociale, che ha riutilizzato i beni confiscati e fatto della memoria di don Peppe Diana un faro per illuminare i territori, e della magistratura che ha dato duri colpi al sistema piramidale dei Casalesi. Oggi il territorio del Casertano vede una maggiore debolezza dei clan, pur osservando un sistema di clientele, corruzioni e infiltrazioni in maniera abbastanza importante. Per questo – conclude – non bisogna abbassare la guardia, nonostante l’indebolimento del clan dei Casalesi sia un fatto”.
Al momento è tutto secretato. Ma, come accade solitamente per i collaboratori di giustizia, nei primi colloqui si confessano i delitti eccellenti. Tra le rivelazioni di Schiavone, potrebbero esserci conferme sulla sua scalata ai vertici del clan dei Casalesi e sull’omicidio di Antonio Bardellino, ucciso in Brasile nel 1988, delitto che gli permise di prendere il comando dell’organizzazione camorristica. Ergastolano, Francesco Schiavone è ininterrottamente detenuto al 41 bis da quasi 26 anni. Da principale imputato, è stato condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus, nel quale era accusato di sei omicidi, ma sta scontando altre condanne definitive all’ergastolo per almeno altri 5 omicidi.