In un Paese ideale, il manifesto per la liberazione delle spiagge potrebbe essere così declinato
- Le spiagge e le coste sono patrimonio dello Stato, cioè appartengono a tutti. Non possono essere privatizzate.
- Il 60% delle spiagge deve essere e restare libero
- Il restante 40% può essere gestito dallo Stato o dai Comuni che possono attrezzarlo e metterlo a disposizione a prezzi calmierati. I servizi sono gratuiti. Come accade in Grecia, Spagna, Francia e altri Paesi (pur in % differenti).
- Una parte di quel 40% può essere data in concessione ai privati che possono attrezzarle a canoni consistenti con il valore e la scarsezza del bene, con garanzie ambientali rigorose e con gare rinnovate ogni 5 anni. Stabilimenti e lidi debbono permettere l’accesso al mare. Portarsi cibo e bevande non è un reato.
- Nessuna struttura permanente (cemento, mattoni o acciaio) può essere imposta sul demanio costiero. Cabine, chioschi, ristoranti, spogliatoi eccetera devono essere rimovibili. Eventuali strutture permanenti già presenti vanno abbattute a spese di chi le ha costruite. Il reato di abusivismo sulla linea di costa non è condonabile da nessuna legge dello Stato.
- Da novembre a marzo nessuna struttura temporanea può persistere sulle spiagge e i litorali vanno sgombrati ogni stagione.
Così una nazione tutela il proprio patrimonio inalienabile e ne fa attrazione culturale, paesaggistica, ambientale e turistica (e economia) collettiva in nome di un bene comune che non può fisicamente essere la sommatoria di singoli interessi corporativi. Sottrarre alla speculazione edilizia ed economica le coste è motivo di soddisfazione per tutti gli italiani.
(Per fortuna molti concessionari già fanno così, qui non ci si rivolge a loro).