Perché no al salario minimo per legge.

È difficile il compito di chi dice no al salario minimo per legge in presenza di salari bassi.
Difficile, ma necessario.
Spiego perché.
L’Italia ha salari troppo bassi, rispetto al resto d’Europa. Ed è fra i sei paesi senza salario minimo. Quindi la risposta più facile sarebbe: salario minimo. Non è però quella giusta.
9 euro si dice. Al lordo immagino.
Al lordo costerebbero al sistema delle imprese 4 miliardi in più all’anno.
Al netto 34 miliardi.
Questo senza alcun impatto sulla produttività del sistema industriale che è la più bassa d’Europa.
“Nel periodo 1995-2021, la crescita media annua della produttività del lavoro in Italia (+0,4%) è stata decisamente inferiore a quella registrata nel resto d’Europa (+1,5% nell’Ue27). Tassi di incremento più in linea con la media europea sono stati registrati dalla Francia (1,2%) e dalla Germania (1,3%).

Ecco, questo quadro economico, con 9 euro di salario minimo imposto per legge, riguardante 2.4 milioni di lavoratori sotto quella soglia e pur in possesso( buona parte) di un contratto nazionale di lavoro, cosa comporterebbe?
Quei 4 o 34 miliardi di costo in più cadrebbero sulle imprese e sui settori più deboli, con due sbocchi possibili, il fallimento di molte di esse, con meno posti di lavoro, quindi, o l’aumento del lavoro nero.
Cambia in meglio la condizione di quei lavoratori? Con il salario fatto per legge come una camicia di forza uguale per tutte le taglie?

Inoltre il salario minimo riduce drasticamente lo spazio per i contratti nazionali.
Quindi il ruolo della parti sociali: associazione delle imprese e sindacati.
Che conterebbero così poco e nulla.
Già si sono trasformate in macchine burocratiche prestatrici di servizi per pensionati.
Il salario minimo sarebbe il colpo mortale.
E noi invece abbiamo bisogno di Corpi Intermedi vivi.
Perché?
Perché non possiamo affidare la crescita( indispensabile) dei salari al demagogo di turno.
A un Grillo o a un Salvini o a un Landini o una Schlein.
Che con reddito di cittadinanza disincentivano il lavoro, con salari minimi per legge la contrattazione e la crescita dei salari legata alla produttività, trasformando il Paese in una fabbrica di “statali, parastatali e affini”, direbbe Gaber.

Ve le immaginate le campagne elettorali nelle quali uno dice 9 euro, l’altro 10, un’altro 12/13/14 ect…
Il Paese precipiterebbe velocemente nel burrone.
Con meno imprese, più disoccupati e più miseria.

Cosa bisognerebbe fare invece?
Dare più forza alla contrattazione fra le parti.
Lo Stato non deve fissare salari minimi ma sostenere la crescita dei salari, minimi, medi, alti, tutti, incentivandoli fiscalmente.

Chi, con la contrattazione, fa crescere i salari verso l’alto, mettendo insieme più soldi e più produttività avrà un premio, un incentivo fiscale.

Inoltre, le imprese che coinvolgono i lavoratori sui risultati aziendali, sugli utili, sugli incrementi degli utili e dei margini aziendali e della produttività, devono essere premiate fiscalmente. Così come i lavoratori.
Perché non è accettabile che i lavoratori perdano soldi e lavoro quando le aziende vanno male e non possano partecipare ai risultati quando vanno bene.

Ecco, questa a me sembra una buona politica per far salire i salari.
E per non morire di demagogia e populismo.

Sergio Pizzolante

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