All’antimafia (quella vera) servono rigore e serietà, non polemiche da campagna elettorale
Franco Landella e Leonardo Palmisano incrociano di nuovo i guantoni. Il sindaco di Foggia ed il sociologo barese ancora una volta non se le mandano a dire. E trasformano la straordinaria operazione giudiziaria che ha assestato un colpo – duro e pesante – alla criminalità organizzata della città nel palcoscenico dell’ennesima polemica politica. Ma andiamo con ordine. Prima ancora della conferenza stampa in cui magistratura e Forze dell’Ordine avrebbero illustrato i particolari dell’azione di repressione contro la rete dei clan mafiosi, forse tratto in inganno dal riferimento al coinvolgimento di “colletti bianchi” annunciato nelle anticipazioni consegnate ai giornali dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla Procura di Foggia, Palmisano ha affermato che adesso ci sarebbero tutti i presupposti per uno scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Il primo cittadino, dal canto suo, ha replicato a strettissimo giro di posta, annunciando una querela per diffamazione nei confronti di Palmisano ed accusandolo di voler strumentalizzare la vicenda a fini politici, facendo sapere tra l’altro che il Comune si costituirà parte civile nel processo penale che farà seguito all’operazione. L’inchiesta, infatti, non ha toccato né dirigenti né esponenti politici del governo comunale, ma solo un dipendente dell’Ufficio Decessi che avrebbe informato i clan di quali fossero le agenzie di onoranze funebri impegnate, permettendo così ai mafiosi di poterle aggredire con richieste estorsive. Questi i fatti, che costituiscono un impianto francamente troppo modesto per invocare lo scioglimento di un Ente Locale in ragione di infiltrazioni e condizionamenti mafiosi. L’episodio, tuttavia, rileva una tensione strisciante che attraversa la politica (Palmisano è stato candidato alle ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale nella lista del Partito Democratico a sostegno di Michele Emiliano) quando alla ribalta della cronaca giungono episodi che raccontano di una criminalità organizzata sempre più orientata a diversificare i propri campi d’azione, facendo quello che i cronisti di giudiziaria ed i magistrati antimafia sono soliti definire “salto di qualità”. L’esistenza di un dipendente comunale accusato di concorso esterno in associazione mafiosa è cosa molto diversa da un reato di peculato, di corruzione o dalla semplice violazione di un dovere di ufficio. Non coinvolge la politica, naturalmente. Tratteggia però una potenziale permeabilità delle strutture amministrative – sia pure in un caso che al momento appare isolato – rispetto alla pressione mafiosa. Una circostanza che non merita di essere frettolosamente derubricata a faccenda di scarsa rilevanza o, al contrario, tale da urlare alla collusione politico-istituzionale, chiedendo lo scioglimento di un’istituzione espressione della volontà popolare manifestata in libere e democratiche elezioni. Si tratta piuttosto di una spia molto preoccupante, rispetto alla quale tutti dovrebbero manifestare rigore, attenzione e serietà. Anche perché si presenta sulla scena avendo alle spalle – sul piano strettamente cronologico – un’altra inchiesta, che riguarda la compravendita di voti che sarebbe avvenuta a Foggia alle scorse regionali (nella fattispecie con l’ipotesi di reato di voto di scambio) di cui si attendono gli esiti. Non è un caso se il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra, stamani abbia ufficialmente sollecitato il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ad attivarsi per sgomberare il campo da sospetti e ripristinare la fiducia dei cittadini nell’Amministrazione comunale. Un quadro, dunque, in cui non c’è bisogno di atteggiamenti che tendano a sottovalutare il rischio di un ingresso della mafia nell’apparato amministrativo degli Enti Locali (con lo sguardo rivolto a gare, appalti, affidamenti di lavori) né di comportamenti che sollecitino con troppa leggerezza l’applicazione di un istituto – lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose – importante, delicatissimo e da maneggiare con estrema cautela. Oggi più che mai occorre responsabilità. Ciò che abbiamo vissuto e che purtroppo continuiamo a vivere su questo fronte è materia troppo seria per essere ridotta ad uno scontro (inutile e sciocco) da campagna elettorale.