Perché il Foggiano dovrebbe rientrare a tutti gli effetti in zona rossa: i numeri parlano chiaro. Se l’assenza di interventi chirurgici manda tutti in lockdown…

Da oggi 5 regioni italiane in più (rispetto alla mappa precedente) verranno poste in regime di maggiori restrizioni anti-covid: passeranno infatti dalla zona gialla alla zona arancione Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo e Basilicata, andando a far compagnia a Puglia e Sicilia. Le sorti della Campania saranno decise in giornata dal ministro Speranza: potrebbe passare anch’essa nella fascia intermedia della pericolosità ma non è affatto escluso l’ingresso diretto in zona rossa. E se queste evoluzioni sono possibili in ragione del nuovo Dpcm che – sulla base dell’aggiornamento dei dati settimanali inviati dalle Regioni al Governo e relativi all’emergenza pandemica – dà facoltà al Ministero della Salute di decidere per una classificazione cromatica del rischio territoriale di volta in volta differente, si fa sempre più concreto, d’altro canto, lo spettro del lock-down totale, invocato, nemmeno 48 ore fa, da Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale dell’Ordine dei Medici: “In alternativa avremo 10mila morti nei prossimi 30 giorni”, ha tagliato drammaticamente corto Anelli. Il premier Conte in queste ore starebbe prendendo in seria considerazione quest’ipotesi e già il 15 novembre potrebbe esprimersi in merito, dopo aver valutato i nuovi risultati sulla curva epidemiologica. Nel frattempo l’Italia resta suddivisa in colori e ci sono non poche perplessità sull’assegnazione del “rischio regionale”. In particolare si è fatta sempre più spazio all’interno del dibatto pubblico la corrente, che, all’interno di questo schema, ha chiesto suddivisioni del rischio più chirurgiche in termini di territori provinciali (così come appena avvenuto, per esempio, per la Provincia autonoma di Bolzano su impulso del suo governatore Arno Kompatscher) e aree metropolitane. Una tesi che ci riguarda molto da vicino. Il Foggiano, stando non solo alla forte agitazione dei sindaci della nostra provincia – che in questi giorni e in queste ore chiudono scuole in molti centri e in alcuni casi, come a San Giovanni Rotondo, invitano i cittadini a non uscire di casa, di fatto sponsorizzando un “lock-down fai da te” – ma guardando proprio allo scoppio continuo di nuovi focolai e più nello specifico ai dati scientifici, dovrebbe essere posto a tutti gli effetti in zona rossa. Una questione di salute pubblica che non doveva essere derogata, nemmeno a costo di prendere decisioni impopolari. Abbiamo comparato, come caso studio, i dati del contagio relativi ai bollettini covid del 7 novembre (a sole 24 ore dall’entrata in vigore del nuovo Dpcm) e lo abbiamo fatto prendendo in considerazione i dati relativi non solo agli ambiti regionali, ma siamo entrati nel dettaglio, analizzando la situazione provincia per provincia: ovvero le province italiane situate, a quella data, nelle aree in “zona rossa” e “arancione”.  Ebbene i 312 nuovi casi di positività registrati sabato scorso in provincia di Foggia raggiungono una percentuale territoriale dello 0,05% (cioè rispetto alla popolazione dei 613.603 abitanti del Foggiano). Cifra che non solo supera nettamente quella di tutte la altre province pugliesi, attestatesi mediamente intorno allo 0,02% (seguendo gli stessi parametri di calcolo, ripetiamo, numero di positivi di quel giorno rispetto alla popolosità della provincia studiata). Ma supera di netto anche le percentuali raggiunte da molte altre province di regioni poste in zona rossa, oltre che delle omologhe arancioni. In Sicilia (di color arancio) la media provinciale di positività si attesta intorno allo 0,03%, che va dallo 0,005% di Enna allo 0,04% di Ragusa. Per non parlare del confronto con la Calabria (zona rossa) dove la percentuale media del contagio nelle province si attesta sotto lo 0,02% (dallo 0,011% di Vibo Valentia allo 0,032% di Reggio Calabria); o con la Valle D’Aosta (altra zona rossa) dove i nuovi positivi raggiungevano il 7 novembre lo 0,01% nell’unica provincia della regione. I numeri del Foggiano, al contrario, si potrebbero inserire a pieno titolo nelle classifiche delle regioni notoriamente a maggior rischio di contagio come le rosse Lombardia e Piemonte. Se la provincia di Foggia fosse una provincia lombarda, per esempio, si appaierebbe di poco sotto la media, in posizione di poco inferiore al blocco centrale (che va dallo 0,071% allo 0,089% ) costituito dalle province di Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Sondrio, ma con percentuali uguali a quella di Brescia (0,05%) e addirittura superiori alla provincia Bergamo (0,03%). Tutto questo senza considerare il tracciamento del contagio dal punto di vista del numero dei tamponi eseguiti regionalmente. Se i poco più di 17mila tamponi effettuati in Piemonte (25,5% la percentuale dei riscontri di positività) e i circa 46mila esami diagnostici lombardi (di questi il 24,2% dei casi è risultato colpito dal virus) hanno tracciato in quel giorno rispettivamente lo 0,40% e lo 0,45% delle popolazioni, in Puglia i 7081 tamponi effettuati sabato scorso (con il quasi 15% di risultati positivi) sono serviti a tracciare un più esiguo 0,17% degli abitanti. Questo significa che, in uno spettro più ristretto di verifica e controllo quotidiano, vengono ignorati, chiaramente, tanti altri possibili casi di infezione al virus. Questa piccola ricerca, che non contempla tutti i 21 parametri di rischio stabiliti dal Ministero per la “cromatura” delle aree territoriali, chiaramente non può prescindere dalla resilienza del sistema sanitario, che nel Foggiano aggrava e non migliora la situazione, con lo scoppio delle terapie intensive tra il Riuniti e Casa Sollievo della Sofferenza, oltre che le file interminabili di ambulanze, di qualche notte fa, al pronto soccorso del capoluogo dauno e una situazione ancora molto caotica nelle corsie d’ospedale. A brevissimo entrerà in funzione il Deu con 250 nuovi posti letto, ma, probabilmente, sarà troppo tardi, in una condizione – a giudicare dal quadro statistico delineato in questa sede  – che non riguarda ovviamente solo i dati di sabato scorso ma perdura da molte settimane, con colpevole ritardo di chi non ha guardato alla pandemia con un filtro ottico più dettagliato o non ha saputo prendere conseguenti e adeguate  decisioni, pur se impopolari (ricordiamo che le Regioni hanno il compito di segnalare al Governo e decidere in merito a situazioni territoriali eventualmente più gravi rispetto alla media). Se la Puglia, tra le nuove regioni che  – secondo i dati elaborati da mediapolitika.com – ha ad oggi superato la soglia critica della capacità delle terapie intensive, non è rientrata per un soffio, come è noto, tra le zone rosse del nuovo provvedimento ministeriale di ieri, figuriamoci come è messa la provincia di Foggia.   

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